La responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da Covid-19

La decisione n. 3282/2020 della Corte di Cassazione e i chiarimenti dell'INAIL

La responsabilità gravante sul datore di lavoro non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, come statuito da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 3282/2020 , che ha affermato che il datore di lavoro non risponde per responsabilità oggettiva ma solo per difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore, volta a sanzionare la mancanza di diligenza per l’omissione da parte dello stesso di tutte quelle misure e cautele idonee, secondo l’esperienza e la tecnica, a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore.

Tuttavia, non potendo pretendere la predisposizione di tutte le misure capaci a contrastare ogni imprevedibile causa di infortunio, incombe sul lavoratore l’onere di provare il danno subito in ragione dell’attività lavorativa svolta e il nesso causale tra il pregiudizio subito e l’attività svolta. Solo qualora il lavoratore abbia fornito tale prova, il datore di lavoro avrà l’onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il danno. In concreto, occorre che il contagio da Covid-19 del lavoratore, non solo sia effettivamente avvenuto in occasione di lavoro, ma sia anche imputabile al datore di lavoro.

Il datore di lavoro potrà rispondere del reato di lesioni di cui all’art. 590 c.p. oppure del reato di omicidio colposo previsto dall’art. 589 c.p. quando sia cagionata la morte a seguito del contagio. La circostanza è aggravata dalla violazione delle norme infortunistiche contenute nell’art. 590, comma 3, c.p. L’aggravante nei delitti colposi conseguente da infortunio sul lavoro prevede che l’evento dannoso si sia verificato a causa della violazione dell’art. 2087 c.c., ovvero, che il datore di lavoro abbia violato le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

In ogni caso L’INAIL specifica che, fatta eccezione per alcune categorie di lavoratori come personale medico-sanitario, personale addetto ad attività di front-office etc, non esiste una presunzione di origine professionale, che in ogni caso sarebbe comunque vincibile con prova contraria, di riconducibilità causale della contrazione dell’infezione al luogo di lavoro. Per tutte le altre categorie di lavoratori, la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che la malattia sia stata contratta durante lo svolgimento dell’attività lavorativa ma, come già detto, l’onere della prova sarà sempre a carico dell’assicurato. Inoltre, la copertura INAIL ha effetto anche per i contagi avvenuti durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, in base alla valutazione medico-legale.

L’onere della prova, come chiarito dalla circolare n. 13/2020 dell’INAIL, specifica che “nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti ad un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/utenza ed anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari”.

La particolare complessità nell’individuare con certezza il luogo del contagio in ambito lavorativo e la difficoltà dell’onere della prova in capo al lavoratore, moltiplicato con la natura pandemica del Covid-19, ovvero la sua diffusione in tutto il territorio e la lunga fase di incubazione dei sintomi dell’affezione da coronavirus, che può arrivare sino a 14 giorni, non consentono in via generale di presumerne l’origine professionale. Ciò però non deve prestare il fianco all’inosservanza delle norme e delle misure di sicurezza poste a contrasto del coronavirus, sia per i datori di lavoro che per i lavoratori, perché tali misure di sicurezza prima di rappresentare un dovere giuridico sono un obbligo morale riguardante tutta la comunità.

 

 

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