Locazioni commerciali ed emergenza sanitaria: no allo sfratto per morosità

Con l'ordinanza del 30 luglio 2020 il Tribunale di Catania apre una strada coerente con i principi generali che impongono di valutare la gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto ed armonizza il sistema generale delle tutele concesse al debitore inadempiente con quello, specifico, dettato mediante la decretazione d'emergenza.

In tale ottica, l'interpretazione prospettata dal Giudice catanese bilancia correttamente gli interessi in gioco, lasciando integra la possibilità di dichiarare la risoluzione del contratto ove ne sussistano i presupposti, ma consentendo l'ingresso e la valutazione nel processo di tutte quelle circostanze, indiscutibilmente esistenti in un'ottica di equità sostanziale, che abbiano causato l'inadempimento del conduttore.

Emergenza sanitaria e contratti di durata: quali garanzie per le parti in causa

Qual è il destino dei contratti di affitto delle forniture ripetute nel tempo, come quelle alimentari per ristoranti, se le attività sono chiuse per legge, e come si garantiscono i diritti delle parti in causa?

L'attuale emergenza connessa alla diffusione della patologia denominata COVID-19 ha determinato gravi conseguenze in Italia anche in ambito economico, cui lo Stato ha cercato di porre rimedio con provvedimenti di molteplice natura (si pensi, ad esempio, al Decreto Ristori, giunti sino alla quarta versione).

Come si possono dunque gestire le conseguenze di questa epidemia quando producono una perdita dell’equilibrio originario in prestazioni contrattuali, pattuite e stipulate quando l'emergenza sanitaria non era neppure immaginabile, e quali possono essere i rimedi di natura legale?

Il destino delle prestazioni collegate

Come è facile comprendere, la problematica attiene alla fase esecutiva di quei contratti cosiddetti sinallagmatici (ossia che ottemperano una funzione di scambio nel cui quadro una prestazione è in funzione dell'altra e il vizio o il difetto che colpisce la prima incide sulla seconda). Il legame fra le due prestazioni - il cosiddetto sinallagma – è essenziale, poiché, qualora una delle prestazioni venga a mancare, l'altra diviene sproporzionata, vanificando il senso dell'operazione programmata. Invero, se il contratto è commutativo, lo scambio fra le prestazioni, (che i contraenti hanno reputato, al momento della firma del contratto) economicamente equivalenti, così che le vicende successive alla formazione del negozio che influiscono sul valore di una prestazione innescandone uno squilibrio economico rispetto all'altra, sono suscettibili di ripercuotersi sulla sorte del contratto.

Per far fronte (anche) a queste problematiche, il governo italiano ha fatto ricorso a più riprese allo strumento del decreto-legge: il primo, il DL 2 Marzo 2020; il secondo il DL 17 Marzo 2020 numero 18, cosiddetto Cura Italia; i terzo il DL 8 Aprile 2020 numero 23 cosiddetto Decreto Liquidità; il quarto il DL numero 28 del 2020 ; Da ultimo, la serie dei decreti ristori, dal primo sino al quater.

Sul piano del diritto sostanziale, ne è venuta fuori una trama fitta di norme emergenziale transitorie, tese, nel complesso, ora a sterilizzare alcune disposizioni di diritto societario e concorsuale avvertite come stridenti rispetto all' eccezionalità della crisi, ora a concedere moratorie generalizzate, ora, infine, a congelare la situazione, fermando le lancette dell’orologio dei rapporti negoziali tendenzialmente per l'anno 2020, con proiezione anche nei primi mesi dell'anno 2021, nell’attesa (o nell’auspicio) di tempi migliori o per lo meno prevedibili.

Non tutto è stato previsto

Si pensi alle normative che si sono succedute nel tempo per determinare il blocco dei licenziamenti, o degli sfratti per morosità. Ma molti ambiti non sono stati regolati: si pensi, ad esempio, un'impresa commerciale che esercita l'attività di ristorazione, e che ha stipulato un contratto di fornitura (della durata di alcuni anni) per la consegna di determinate quantità di derrate alimentari settimana dopo settimana. La chiusura totale (o per periodi, anche solo parziale) dei ristoranti, rende possibile al ristoratore far cessare l'efficacia del contratto di fornitura delle derrate alimentari?

L'impossibilità sopravvenuta

Il legislatore, sul piano della soluzione civilistica, non ha creato nuovi rimedi alle tensioni economiche che così duramente hanno inciso sulla solvibilità dei debitori e sull’esecuzione dei rapporti contrattuali. La disciplina generale dei contratti prevista dal codice civile indicherebbe quale unica possibilità (di discutibile applicazione nella specie) della risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex articolo 1463 CC: ma questo rimedio sarebbe applicabile solo quando l'emergenza epidemiologica abbia reso la prestazione dedotta in negozio completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile. Ora, le obbligazioni pecuniarie non diventano mai ineseguibili, non essendo esposte a una materiale o giuridica oggettiva impossibilità (il denaro esiste sempre), ma solo a una soggettiva inattuabilità, connessa all’indisponibilità o la penuria dei flussi di cassa.

Impossibilità parziale

Sovente la prestazione negoziale si mostrerà solo parzialmente o provvisoriamente impossibile, senza che ciò determini l'estinzione dell'obbligazione. In siffatte ipotesi, troverebbe applicazione l'articolo 1464 CC in punto di impossibilità parziale: il contratto non si risolve, ma la parte creditrice della prestazione parzialmente impossibilitata viene messa davanti a ben tre opzioni: 1) ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione che a sua volta la grava; 2) può recedere dal contratto allorché non abbia interesse all’adempimento parziale; 3) in ogni caso, a fronte della prestazione temporaneamente impossibile, può sospendere l'esecuzione di quella da lui dovuta.

Significativo che alcune pronunce di legittimità abbiano, peraltro, evidenziato che l'impossibilità sopravvenuta della prestazione sia non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuta meno, verificandosi, in tal caso, la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione (Cass. 10 luglio 2018, n. 18047: principio applicato al caso di una persona che non aveva potuto usufruire del pacchetto vacanze acquistato per il sopravvenire di una grave patologia che gli rendeva impossibile intraprendere il viaggio; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958: decisione relativa a un contratto di soggiorno alberghiero prenotato da due coniugi, uno dei quali era deceduto improvvisamente il giorno precedente l'inizio del soggiorno; Cass. 24 luglio 2007, numero 16315: caso di un pacchetto vacanza acquistato da due persone per un viaggio nell'isola di Cuba, dove si era poi diffusa un’epidemia di “dengue” emorragico).

Punti di vista contrastanti (ma legittimi)

Con maggiore difficoltà potrò invocarsi l'applicazione dell'articolo 1464 cc ai contratti di locazione, anche di beni produttivi, (non solo locali commerciali, ad esempio, i locali del ristoratore seguendo l'esempio precedente; ma anche stabilimenti produttivi): in questo caso, infatti, il locatore ben potrà sostenere che egli ha comunque concesso e continua a concedere il godimento degli immobili, e che la disponibilità dell’immobile al conduttore permane quando anche per “factum principis” (un provvedimento normativo di divieto) le attività commerciali rese possibili da quella facoltà di godimento del bene risulti momentaneamente affievolite (ad esempio: minore ricettività del ristorante, possibilità del mero confezionamento dei cibi da asporto, con divieto di consumazione in sala ecc); è vasta la cerchia dei contratti che hanno di fatto visto alterata loro primitiva funzione, non valendo più a soddisfare l’esigenza in vista della quale erano stati redatti e stipulati, come la locazione un locale uso commerciale funzionale a un esercizio destinato a essere aperto al pubblico, ma chiuso per provvedimento dell'autorità, con misure peraltro confusamente adottate a vari livelli (nazionale, regionale, comunale) nell'ottica di contrastare il dilagare del contagio.

Dunque, nel contratto di locazione, la prestazione del locatore continua a essere resa benchè l'utilità che il conduttore ne ricava sia fortemente ridotta: affermare che siano applicabili le norme in tema di impossibilità sopravvenuta per consentire il conduttore di non pagare il canone o pagarlo in misura inferiore vorrebbe dire correggere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale, trasferendo le conseguenze finanziarie del Covid da una parte all'altra del contratto (dal conduttore al locatore) ma sulla base di una considerazione che appare ispirata forse al buon senso o ai fenomeni di solidarietà sociale, più che il rigore giuridico.

L'eccessiva onerosità sopravvenuta

Altro rimedio astrattamente applicabile ai contratti a esecuzione continuata o periodica e contratti di durata, nonché ai contratti a esecuzione differita, potrebbe essere quello dell' eccessiva onerosità sopravvenuta ex articolo 1467 CC, secondo cui il contratto è suscettibile di essere risolto quando la prestazione, per il verificarsi di avvenimenti straordinari imprevedibili, è diventata per una delle parti eccessivamente onerosa, avuto riguardo al rapporto di scambio che le parti avevano considerato al momento della stipula delle originarie pattuizioni contrattuali.

In questo senso, le misure di contenimento della pandemia ha avuto l'effetto di sbilanciare, per un certo lasso di tempo, o in via definitiva, l'economia del negozio. Tuttavia, in questo caso, il rimedio apprestato dal Codice Civile è quella della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Questo rimedio, derogando al principio di vincolatività del contratto di cui all'art. 1372 comma 1 CC, concede, nell'ambito dei contratti a esecuzione continuata o periodica o differita, alla parte la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, di invocare la risoluzione del contratto con gli effetti stabiliti dall' articolo 1458 CC (articolo 1467 comma 1 CC). Peraltro, la risoluzione giudiziale non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'ambito dei rischi e delle incertezze prevedibili in un contratto (articolo 1467 comma 2 CC).

Tuttavia, l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, diversamente dalla impossibilità sopravvenuta di essa, quale rimedio all'alterazione del cosiddetto sinallagma funzionale che rende irrealizzabile la causa concreta non ridonda sul piano causale del contratto, poiché non impedisce del tutto l'attuazione dell'interesse connesso compiutamente perseguito; essa trova, invece, fondamento nell’esigenza di contenere entro limiti di normalità l'aggravio economico della prestazione, proteggendo la parte del rischio di un eccezionale aggravamento economico di quest’ultima per gravi cause di turbamento dei rapporti socio economici.

Inoltre, questo rimedio, come è stato correttamente notato, si caratterizza per una spiccata propensione demolitoria piuttosto che conservativa del contratto: rimedio volto a rimuovere il vincolo contrattuale, e non a riequilibrare il sinallagma. In altre parole: il contratto viene risolto, non viene ricondotto ad equità. Infatti, soltanto la parte favorita dallo sbilanciamento può evitare la risoluzione del negozio, offrendo di modificare equamente le condizioni di esso (ex articolo 1467 comma 3 CC): correlativamente, la parte che patisce l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, può solo agire in giudizio per sciogliere il vincolo e solo purché non abbia già eseguito la propria prestazione.

In altri termini, il contraente più debole non ha diritto di ottenere l'equa rettifica delle condizioni contrattuali, né può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle originariamente concordate: ma nei rapporti commerciali, destinati alla ricerca degli strumenti che favoriscano la prosecuzione dell'attività di impresa, l'obiettivo del contraente sfavorito non è lo smantellamento del rapporto contrattuale, ma la sua messa in sicurezza attraverso un riequilibrio reciprocamente appagante delle prestazioni.

E ben vero che le parti di un contratto in qualsiasi momento, possono incontrarsi e, facendosi reciproche concessioni, possono giungere a trovare un nuovo assetto di interessi e un nuovo equilibrio, così da correggere lo squilibrio manifestatosi: ma che accade se le parti non riescono a trovare un nuovo punto di equilibrio?

Il ruolo del Giudice

Il rimedio non può essere somministrato da un Giudice: il principio dell’equità contrattuale e della riconduzione all’equità sostanziale del regolamento negoziale non è un principio generale dell'ordinamento, fuori dei casi di recessione o vizio della volontà (Cassazione civile sezione 3, ordinanza n. 25769/2020 del 13.11.2020 presidente Franco De Stefano, relatore Cristiano Valle); del resto la sproporzione delle prestazioni tra le parti e/o la sussistenza di un abuso di dipendenza economica (caso di posizione dominante di un contraente cosiddetto forte) debbono sempre essere riscontrate in concreto (Cassazione civile sezione 1 sentenza numero 1184/2020 del 21.1. 2020 Presidente Giacinto Bisogni, Relatore Loredana Nazzicone).

Con l'ordinanza succitata, il Tribunale di Catania sostanzialmente armonizza il sistema generale delle tutele concesse al debitore inadempiente con quello, specifico, dettato mediante la decretazione d'emergenza.

Soluzioni al momento contraddittorie

Dottrina e giurisprudenza hanno affrontato e provato a risolvere, non univocamente, la scelta dei rimedi che l'ordinamento offre per fronteggiare l'emergenza e “conservare” il contratto, tutelando la posizione del contraente debole.

Alcune pronunce giurisprudenziali, nonostante la sostanziale inesistenza (per le ragioni sin qui espresse), di rimedi conservativi e di riconduzione all’equità dei contratti sinallagmatici di durata colpiti da squilibri imprevedibili, hanno inteso accordare, ad esempio, riduzioni dei canoni di locazione per il periodo di forzata chiusura dell'esercizio commerciale in dipendenza dei provvedimenti normativi che ne imponevano la chiusura totale, ovvero concessione di provvedimenti di urgenza per impedire gli effetti dell' escussione di garanzie fideiussorie collegate all' adempimento delle obbligazioni di pagamento dei canoni delle locazioni commerciali (Tribunale di Roma, 27.8.2020 ordinanza ex articolo 700 cpc, dott. Grauso).

Queste soluzioni giurisprudenziali, tuttavia, si sono caratterizzate per un’inaccettabile eterogeneità e contraddittorietà, (perfino dei fondamenti normativi addotti a sostegno delle contrapposte tesi, principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, principio di solidarietà ex art. 2 Cost.), sì da rendere assolutamente imprevedibile l'esito di un giudizio con evidente compromissione della possibilità per l'una o l'altra delle parti di poter contare su soluzioni normative e giurisprudenziali prevedibili, ed evitare così l' innesco di avventurose vicende giudiziarie.

L'obbligo di concludere il contratto

Una relazione dell'Ufficio del Massimario della Cassazione è giunta a suggerire l'utilizzo dello strumento di cui all'art. 2932 cc che reca in rubrica “esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto”, e che prevede: se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l'obbligazione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso; ma in questo caso, le parti sono già obbligate, con un contratto preliminare , a stipulare un futuro contratto appunto definitivo, e hanno divisato tutte le reciproche obbligazioni, si che l'intervento del giudice non è affatto innovativo, ma meramente ricognitivo dell'esistenza di una promessa obbligazione sulla quale le parti hanno già raggiunto un consenso comune e da esse concordemente e positivamente valutato; nel caso dello squilibrio indotto dall’emergenza pandemica, al contrario, il Giudice verrebbe mandato di determinare lui quale sia il livello di “carico obbligatorio” che dovrebbe gravare su ciascuna delle parti, con un’evidente sostituzione soggettiva della volontà del giudice alla libera determinazione delle parti contrattuali.

Un nuovo disegno di legge

Proprio per superare questa impasse, potrebbe venire in rilievo il disegno di legge presentato, di iniziativa del governo, al Senato della Repubblica XVIII Legislatura, il numero 1151 che introduce una “delega al Governo per la revisione del codice civile”; alla lettera i), è stato sancito che la riforma del codice dovrebbe prevedere il diritto delle parti dei contratti divenuti eccessivamente onerosi per cause eccezionali e imprevedibili, di pretendere la loro rinegoziazione secondo buona fede o, in caso di mancato accordo, di chiedere in giudizio l' adeguamento delle condizioni contrattuali in modo che sia ripristinata la proporzione tra le prestazioni originariamente convenute dalle parti, così integrandosi una lacuna normativa.

Nella relazione di accompagnamento al testo normativo, viene espressamente indicato quanto segue: proprio per ovviare ai limiti della normativa vigente, in linea con quella che è la diffusa pratica degli affari, il criterio di delega in esame, prescindendo da apposite pattuizioni contrattuali, contempla un rimedio di generale applicazione, idoneo a ristabilire l'equilibrio tra le prestazioni. Come sottolinea la relazione si tratta dell’equilibrio economico, è quindi esclusa la possibilità di un intervento giudiziale in caso di vizio generale del contratto.

Questo nuovo rimedio può operare: sia estendendo a ogni ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta la possibilità di pretendere la rinegoziazione del contratto secondo buona fede; sia consentendo, in caso di mancato accordo, l'intervento del giudice, cui può essere chiesto l'adeguamento delle condizioni contrattuali.

 

 

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