SOCIETA' - CORTE DI CASSAZIONE

16 Dicembre 2020, ORDINANZA N.28718

La Corte di Cassazione compie un’analisi della responsabilità contrattuale degli amministratori chiarendo che in nessun caso un Giudice può valutare il merito di scelte imprenditoriali, a meno che queste risultino manifestamente avventate ed imprudenti.

Gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili per i rischi che l'impresa normalmente corre durante tutta la sua vita, nel senso che ad essi non potrà essere addossato il risultato negativo dell'attività sociale o di singoli atti ad essa correlati, con conseguente insindacabilità delle scelte gestionali (business judgement rule). In altri termini, se è vero che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 3652 del 1997 e Cass. n. 3409 del 2013, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 15470 del 2017), «all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 cod. civ. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico» (atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società), e che, sulla base di quella stessa elaborazione, si è precisato che se «il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte)», «anche se presentino profili di rilevante alea economica», è altrettanto innegabile, tuttavia che, in tale tipo di giudizio, può ben sindacarsi «l'omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità», e perciò anche «la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere» (cfr. Cass. n. 15470 del 2017). In nessun caso, quindi, il giudice potrà sindacare il merito delle scelte imprenditoriali a meno che, se valutate ex ante, risultino manifestamente avventate ed imprudenti (cfr. Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 2975 del 2020).

L’obbligo di diligenza professionale posto dall'art. 2392 cod. civ. impone all'amministratore di gestire il patrimonio sociale ed indirizzare l'attività economica nel modo più idoneo agli interessi della società, al fine della massimizzazione dell'utile aziendale. In linea generale, dunque, una sua responsabilità non è certamente configurabile per il solo fatto che egli abbia disatteso le direttive della proprietà, la quale, probabilmente, nemmeno ha il potere di impartirgliele: infatti, una volta nominato, i doveri dell'amministratore sono quelli indicati dalla legge e dallo statuto, non altri. Non esiste, invero, un vincolo di mandato tra soci, o maggioranza di essi, ed amministratore, atteso che il rapporto intercorrente tra quest'ultimo e la società, come ente, è disciplinato dalle norme speciali sulle società stesse, le quali non prevedono un potere di direttiva giuridicamente vincolante sugli amministratori da parte della società medesima, salva la possibilità di revoca per giusta causa, nei congrui casi.

Tra i doveri imposti dalla legge, cui gli amministratori devono adempiere ex art. 2392 cod. civ., sussiste altresì l'obbligo per ogni amministratore, codificato dall'art. 2391 cod. civ., di dare notizia, agli altri amministratori ed al collegio sindacale, di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata. Se poi si tratta di amministratore delegato, egli deve astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale. In questi casi, la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la Società dell'operazione.

 

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