La fine dei “bamboccioni”

Il punto della Cassazione sull’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni conviventi (i cosiddetti “eterni bambocci”)

Con ordinanza n. 17183, depositata il 14 agosto 2020, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, Pres. Dott.ssa M.C. Giancola, Relatore dott.ssa Nazzicone, ha ulteriormente precisato i limiti entro cui il figlio maggiorenne e convivente con l’uno o con l’altro genitore, può continuare a conseguire il mantenimento a carico dei propri genitori.

Nella suddetta ordinanza, la Corte di Casssazione ha affermato che, perché spetti il mantenimento al figlio maggiorenne è necessaria una valutazione caso per caso ad opera delle Corti di merito – Tribunale e Corte di Appello - (Cass. 12 marzo 2018 n. 5883; Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 6 aprile 1993 n. 4108), ma la Cassazione è chiamata a dettare parametri di riferimento, ai fini di uniformità, uguaglianza e più corretta interpretazione ed applicazione delle norme; inoltre, l’accertamento circa la raggiunta auto-sufficienza del figlio deve ispirarsi a criteri di relatività, avendo riguardo alle occupazioni e al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto e alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il figlio abbia indirizzato la propria formazione specialistica, investendo impegno personale ed economie familiari (Cass.26 gennaio 2011 n. 1830); infine, la valutazione deve essere condotta con “rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all’età del beneficiario, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura (Cass. 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. 7 luglio 2004, n. 12477) e che, oltre tali “ragionevoli limiti” l’assistenza economica protratta “ad infinitum” potrebbe risolversi in forme di “vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. 6 aprile 1993 n. 4108, in tema di assegnazione della casa coniugale con i figli maggiorenni; così anche per Cass. 22 giugno 2016, n. 12952).

Dunque, come aveva già in precedenza affermato la Cassazione, la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società e ancora che il progetto educativo e il percorso di formazione scelto dal figlio, se deve essere rispettoso delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, deve tuttavia essere compatibile con le condizioni economiche dei genitori; del pari, il matrimonio, o comunque la formazione di un autonomo nucleo familiare da parte del figlio, indicando una raggiunta maturità affettiva e personale, implica di regola che nessun obbligo di mantenimento possa sopravvivere in capo ai genitori. In questa prospettiva, il diritto del figlio all’assegno presuppone una condizione di necessità di questi, e non può discendere solo dalle elevate capacità reddituali del genitore obbligato, essendo irrilevanti le ottime condizioni economiche del padre, “il quale era titolare di diversi fabbricati e terreni e aveva acquisito beni in via ereditaria”. (Cass. 25 settembre 2017, n. 22314).

Quanto al tipo di impiego desiderato, non sussiste, nella dovuta ricerca dell’aspirato lavoro, un rigido vincolo scaturente dalla preparazione teorica conseguita dal figlio; integra, invece, un dovere di questi la ricerca di un’autosufficienza economica, secondo un principio di autoresponsabilità e di scelta tra le proprie aspirazioni e il concreto mercato del lavoro. Anzi, deve ritenersi che tale dovere sussista, vuoi ex ante, sin dagli esordi del corso di studi (che il figlio ha l’onere di scegliere tenendo conto delle proprie effettive capacità personali, di studio e di impiego, oltre che con le concrete offerte e opportunità di prestazioni lavorative che quel corso di studi potrà offrire); vuoi, ex post, quando il dovere di reperire un lavoro si traduce in dovere di ricercare un qualsiasi lavoro e attivarsi in qualunque direzione sia necessario.

Il termine per il perdurare del diritto al mantenimento potrà essere desunto dalla durata ufficiale degli studi e dal tempo mediamente occorrente a un giovane laureato, in una data realtà economica, affinché possa trovare un impiego; salvo che il figlio non provi che (senza sua colpa) sia stato impossibile procurarsi il lavoro ambito, e che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicurargli l’auto-mantenimento; e ancora, dovrà tenersi conto dell’adeguatezza e della ragionevolezza delle opzioni formative, operate dal figlio, rispetto alle condizioni economiche-sociali della famiglia, poiché non è ammesso che il figlio pretenda di imporre un contributo alla famiglia che sia per essa eccessivamente gravoso e non rientrante nelle proprie concrete possibilità economiche, perché, secondo buona fede, non sia imposto un eccessivo sacrificio alle esigenze di vita dei genitori.

 

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